Pratico la lentezza

sabato, settembre 22, 2007

Cuccetta mon amour (!)

Se il viaggio fosse un mestiere, farei carte false per esercitarlo fino alla pensione. Per ora è solo una componente, molto secondaria, dell’attività che svolgo. Ma mi ritengo ugualmente fortunata. Anche quando, per non superare i ristretti limiti del budget universitario, decido di spostarmi in treno, dormendo in cuccetta, per raggiungere Università e convegni di interesse. La notte nei treni sembra trasformarsi in un universo parallelo, assume una dimensione spazio-temporale inquietante e allo stesso tempo ricca di fenomeni da scoprire…

I primi pensieri che si presentano al momento dell’ingresso nel treno (parlo da soggetto appartenente al genere femminile, naturalmente) mi accompagnano alla ricerca del posto prenotato più o meno così: “Chi saranno gli altri occupanti dello scompartimento?” “Potrò stare tranquilla?” “Si saranno lavati almeno i denti?”. Ecco il vagone, ecco le cuccette, già in posizione. Personalmente preferisco i posti più alti. Saluti, più o meno muti, e simulazione di sforzi per farsi aiutare a sistemare la valigia (funziona sempre!). Al termine di tutti gli aggiustamenti del caso, finalmente, tolgo gli occhiali, mi lascio alle spalle i contorni nitidi e quello che resta del mondo routinante ed entro nelle stanze della notte ferroviaria.

Una notte che costringe a deglutire ogni 2 minuti per non sentirsi le orecchie tappate a causa dei passaggi in galleria, una notte sui generis, che si può descrivere come un mosaico di colori, odori, rumori, luci e posture da affrontare…a volte con grande coraggio! C’è la ragazzina esile e composta che delude tutte le aspettative russando pesantemente e propagando vibrazioni da motore diesel; c’è il dormiente-Tutankamon che per tutto il viaggio non muove una sola vertebra; c’è, questo davvero c’è sempre, il gigante in sovrappeso che regolarmente si incastra nelle torsioni tra letto e scaletta; e ci sono quelli/e che apri-la-porta, chiudi-la-porta, siediti-sdraiati, alzati-vai-in-bagno, apri-la-porta, mangia-un-panino, eccetera eccetera, vorresti legare e imbavagliare perché non ne puoi più di continue interruzioni al sonno e di quella luce del corridoio che ti si pianta in faccia con la grazia di una secchiata d’acqua gelida.

Alle prime luci della mattina mi sento come Indiana Jones, provata dall’avventura, ma fiera della mia impresa. Le ultime tracce della notte ferroviaria si dissolvono al passaggio del carrello bevande. Scendo dalla cuccetta e rimetto gli occhiali.

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